Intervista a due nostre socie storiche
Marica e Mascia sono socie della cooperativa L’Incontro rispettivamente dal 1991 e dal 2001.
Oggi, entrambe lavorano nel Centro Servizi Anziani D. Sartor e sono coordinatrici di nucleo. Marica, che ci tiene a precisare di essere la matricola n. 8, ha iniziato il suo lavora di operatrice in via Cazzaro, la prima sede della cooperativa, per poi fare una breve esperienza nei Centri di Lavoro Guidato “ll Castello” e “Quinto Ponte”. Mascia, invece, prima di arrivare alla Sartor, era nella casa di riposo di Fossalunga.
Voi avete avuto modo di conoscere la cooperativa nella sua prima storia. Quali sono i vostri ricordi?
L’Incontro dei primi tempi era una realtà molto più piccola di come è adesso. La sensazione era quella di far parte di una famiglia allargata. All’interno dei reparti, spesso, ci si ritrovava a condividere le mansioni. C’erano giorni in cui gli ospiti ci aiutavano a fare le pulizie e sistemare gli ambienti. Ci si sentiva un po’ tutti a casa, con un grande senso di appartenenza e di solidarietà, anche fra colleghi. Ad esempio, a volte ci si ritrovava da sole in turno, soprattutto di notte, e c’erano colleghe che, in volontariato venivano a dare supporto e questo non pesava perché prevaleva lo spirito di cooperazione, di gruppo. I primi anni c’erano anche molte più occasioni di convivialità, che nascevano anche dalla gioia del lavorare insieme.
Cosa è cambiato in questi anni?
Sicuramente è cambiata la dimensione della nostra cooperativa. Oggi siamo più di 400 socie e soci ed è difficile mantenere la dimensione più familiare che c’era un tempo. Questo porta a volte a percepire una certa distanza dalla cooperativa e un bisogno di maggiore attenzione per chi si trova in prima linea nei servizi, soprattutto degli operatori. Anche alla luce del fatto che il nostro lavoro è cambiato, soprattutto in termini di burocrazia da gestire. Oggi l’operatore è tenuto a occuparsi anche di aspetti che non riguardano direttamente la relazione con gli ospiti e questo appesantisce il nostro compito. La burocrazia, i mille vincoli, limitano la spontaneità e l’iniziativa personale, aspetto fondamentale nel lavoro di cura e di relazione. In questi anni sono cambiati anche gli operatori: un tempo, quando abbiamo iniziato noi, fare l’OSS era una scelta mossa da grande motivazione, oggi purtroppo per alcuni sembra essere un lavoro come un altro.
Quanto ha inciso il Covid nel vostro lavoro?
Tanto, troppo. Il Covid è ed è stata un’esperienza che ci ha messo in grande difficoltà. L’aspetto più complicato da gestire è stato l’isolamento: per settimane, mesi, noi siamo stati la famiglia degli ospiti che non potevano vedere nessuno, anche quando non stavano bene. Questo ci ha messo tanto sotto pressione perché abbiamo sentito un grande senso di responsabilità nei loro confronti, per non parlare del portato emotivo di tutta la situazione. Oltre alla dimensione della cura, che contraddistingue il nostro lavoro, ci siamo sentiti investiti del compito di proteggere queste persone fragili. Oggi, piano piano, la situazione si sta normalizzando ma dobbiamo sempre tenere la guardia alta.
Qual è la motivazione più importante che vi fa fare il vostro lavoro con questa passione?
Gli anziani. Loro sono la nostra storia, i nostri pilastri. Sono persone che noi definiamo fragili ma in realtà hanno una grande forza e sono una fonte di saggezza. Noi ci sentiamo piccole nei loro confronti e il periodo del Covid ha dimostrato una volta di più di che pasta sono fatti. Quando ti sorridono, con l’aria felice, tutte le nostre fatiche trovano il loro senso.
Quali proposte migliorative vi sentite di fare per il futuro?
Secondo noi c’è bisogno di lavorare sulla dimensione di gruppo. Riprendere delle buone prassi che, anche per via del Covid, sono state sospese. Ad esempio coinvolgere le equipe di lavoro in momenti di formazione anche “fuori porta”, per vivere delle esperienze insieme che ci portino a riconoscerci non solo come lavoratori ma anche come soci di una grande cooperativa come L’Incontro. La stanchezza di questo ultimo periodo rende ancora più importante dedicare del tempo a ciascuna persona, per farla sentire riconosciuta e valorizzata, anche economicamente. C’è bisogno di una presenza più attenta da parte della cooperativa nei servizi, fino al più lontano dei reparti, per ridurre le distanze e ascoltare le preoccupazioni e i bisogni di chi, ogni giorno, fa del suo meglio per svolgere il proprio lavoro.