Casa Massimo oggi è realtà
Il primo progetto di residenzialità supportata per persone con problemi di salute mentale
Ci sono voluti due anni per trasformare quella che era solo un’idea in realtà. Tutto è iniziato con la storia di Massimo e della sua famiglia che voleva fortemente per lui un futuro al di fuori della Comunità Riabilitativa Protetta. I suoi genitori, con grande determinazione, hanno cercato in tutti i modi di garantire al proprio figlio di poter vivere in una vera casa dove sentirsi, per quanto possibile, autonomo.
La cooperativa L’Incontro, il CSM di Castelfranco Veneto e la Fondazione Tina Anselmi, hanno lavorato in sinergia per far sì che questo si realizzasse e l’8 settembre Massimo e il suo nuovo coinquilino Giovanni hanno dormito per la prima volta nel nuovo appartamento.
In questi giorni si sono uniti altri due inquilini e siamo pronti per festeggiare, venerdì 14 ottobre, con un’inaugurazione come si deve. Nel frattempo abbiamo chiesto a Claudia, l’educatrice di riferimento del progetto, le sue prime impressioni dopo i primi giorni dall’avvio di Casa Massimo.
Cosa pensi di Casa Massimo?
Casa Massimo è un progetto importante, la prima esperienza di questo tipo di tutto il territorio. Questo cohousing dà l’opportunità a persone con fragilità di vivere in maggiore libertà, pur con un supporto che li aiuta a mantenere un equilibrio. Il quartiere è molto accogliente ed è stato scelto proprio per questo. Gli inquilini hanno già fatto amicizia con la vicina di casa che è stata gentile fin dal primo giorno. Casa Massimo permette alle persone coinvolte nel progetto di non passare da una struttura all’altra ma di vivere in una casa che possono sentire loro. La dimostrazione è che le persone possono prendere la residenza.
Come stanno vivendo questi primi giorni in appartamento gli inquilini?
C’è molto entusiasmo in questi giorni. Certo, come in tutte le partenze c’è stata qualche difficoltà ma passo passo le stiamo superando. Gli inquilini hanno bisogno di trovare il proprio equilibrio, singolarmente e in gruppo, e in questo è fondamentale la figura dell’assistente familiare che li supporta nella gestione quotidiana. Sarebbe bello chiedere direttamente a loro, magari fra qualche settimana, se sono felici di questa opportunità.
Casa Massimo è stato definito un progetto di comunità. Cosa si intende?
Questo cohousing per funzionare fino in fondo ha bisogno anche del quartiere e dei volontari, per aiutare gli inquilini a inserirsi nel tessuto sociale e fare una vita a tutto tondo. In questo momento si è già creato un piccolo gruppetto di volontari che si dà il turno per dormire lì la notte, finché le persone non si abituano alla novità di stare da soli. Inoltre, stiamo dialogando con il vicino Centro Don E. Bordignon per coinvolgere Massimo e gli altri, a loro volta, nelle attività di volontariato del quartiere.
Cosa speri per il futuro?
Spero che esperienze come queste si moltiplichino e che il futuro della salute mentale sia sempre più residenzialità supportata.